Istanbul

L'immagine da cui parto per raccontare Istanbul è questa:


Una stazione dei traghetti lungo il Corno d'Oro. Da solo. Un'ora di attesa del traghetto per Eyup, senza aver pranzato se non con acqua e un sacchetto di mandorle.

E' pura libertà quella che, dopo una giornata di pioggia e chilometri percorsi tra quartieri lontani dal clamore del centro, mi permette di perdere del tempo in attesa di un traghetto.

....ad Istanbul.


Istanbul è una fissa che mi porto dietro da tanto. In gioventù i Litfiba mi cantavano "Istanbul baluardo sacro per l'incrocio delle razze e degli uomini. Brucerà!".
Non gli ho dato mai un senso a queste parole, ma c'ho fantasticato a lungo.
Arrivato il fatidico momento di poter arrivare ai confini d'Europa mi sono chiesto: Quanto conosco questa città?! Si, la storia è lunga ed affascinante, ma quanto bisogna approfondire la ricerca?
Come al solito mi sono affidato ai romanzi e "Istanbul" di Pamuk fa rivivere una città ormai perduta nel corso degli ultimi 50 anni, ma non del tutto. Uscire dal centro permette ancora di entrare a contatto con etnie diverse, anche se non sono le stesse che incontrò allora il nobel turco. Camminare tra le vie dove non arrivano se non i curiosi. Entrare nei luoghi di culto in cui desti curiosità, perché non sono abituati a vedere "estranei".

E la mia breve gita ad Istanbul è stata proprio questo: uscire dai "luoghi comuni" per entrare nei quartieri e per questo una guida, trovata fortuitamente a pochi giorni dalla partenza, mi è stata molto d'aiuto. Ho percorso 120 chilometri in 4 giorni! Ed è stato bellissimo perdersi e ritrovarsi numerose volte... qui ad Istanbul.

Sultanahmet

Gli itinerari della guida, ovviamente, partivano tutti dai siti più famosi e si addentravano nella città risalendo il filo conduttore della storia.
Il primo percorso è d'obbligo: quello sulle tracce di Bisanzio.


Ho iniziato (ovviamente) con il museo di Agia Sofia. L'immensa basilica fu costruita in diverse fasi dal 360 al 562 da Costantino I, Teodosio II e Giustino II. Le alterne fortune legate ad incendi e terremoti e ostinate ricostruzioni la traghettarono fino al 1453 quando venne convertita in moschea dopo l'assedio della città da parte del sultano Maometto II.  Solo nel 1935 il fondatore della Repubblica di Turchia Ataturk la convertì definitivamente in uno dei musei più visitati d' Europa.

La visita mattutina mi ha tolto di dosso i fiumi di gente che di solito affollano questa basilica-moschea, lasciandomi spesso solo alla scoperta di questo capolavoro dell'uomo.
La prima cosa che colpisce, ovviamente, è l'immenso spazio coperto, l'imponenza di una costruzione che, grazie a colori scuri e lame di luce, taglia corto il respiro. La suggestione che questo luogo porta con se, il peso della Storia e la soggezione che impone sono ovunque tangibili.


Sullo stesso itinerario ci si ritrova presto nella Cisterna Basilica, tornata ai favori delle cronache dopo che vi è stato inscenato l'epilogo di un colossal targato Holliwood (tratto da un romanzo di Brown). Di queste cisterne se ne trovano diverse in giro per la città e venivano utilizzate per immagazzinare l'acqua sin dai tempi dell'impero bizantino. Furono scoperte per puro caso quando le autorità ottomane si accorsero che alcuni cittadini avevano accesso anche in estate all' acqua potabile semplicemente attingendo da un foro sul pavimento delle loro abitazioni. Ora alcune di queste cisterne si possono visitare e, ovviamente, la Cisterna basilica è quella più suggestiva e pubblicizzata. Suggestiva la camminata su una passerella sospesa sopra il livello dell'acqua (non tute le sale sono allagate), il gioco di luci e il rumore dell'acqua che filtra ancora dal soffitto. Sembra sempre di muoversi lungo le navate di un'immensa cattedrale sommersa.






Attraversando la vicina piazza ricavata sull'antico ippodromo (di cui conserva la forma e non solo) ci si ritrova nella parte più conosciuta del quartiere di Sultanahmeth. I tre obelischi che svettano sono la testimonianza degli antichi fasti della capitale bizantina, costruita in fretta ed arricchita con i tesori "acquistati" da tutto il bacino del mediterraneo. L'obelisco di Teodosio proviene direttamente dell'Egitto, dal tempio di Karnak.
La colonna in bronzo poco distante, la colonna Serpentina, proviene direttamente dal tempio di Apollo a Delfi. L'ultima risalente a Costantino il Grande.



Due passi per Sultanahmet sono ciò per cui le persone curiose si mettono sulla strada. Tanta storia concentrata in poco spazio. Meraviglie che, solo dopo averle viste dal vero, se ne può avere una dimensione precisa.
Monumenti e scenari grandiosi come Sultanahmet mi hanno creano spesso un problema serio: Come evitare di perdersi tra tutte queste meraviglie? Come dargli un ordine? Come riuscire a “digerirle” senza avere la sensazione di mescolare tutto e non riuscire a capirci qualcosa?
Bisogna trovare la forza di girargli le spalle! Nel momento in cui si scende in strada, anima e corpo, alla scoperta di quello che fu questa città unica nel suo genere, bisogna avere il "coraggio di non abbuffarsi" e fare le cose con la dovuta calma.


Il profilo di Sultanahmet è dominato, oltre che dalla cupola e i minareti di Agia Sofia, anche dall'inconfondibile simmetria della moschea Blu. Così chiamata per le decorazioni in maioliche di Izmir, blu appunto, domina e definisce il panorama di Istanbul.
Costruita intorno al 1610 per eguagliare, se non superare Agia Sofia in grandiosità, questa splendida moschea impressiona, oltre che per le perfette proporzioni e simmetrie delle numerose cupole, per le decorazioni floreali interne che, illuminate dalla luce che penetra dalle numerose vetrate, investe la sala di un bagliore sorprendente.

Con la moschea blu siamo sconfinati nel "percorso Ottomano" che corre per tutta la città, almeno nella zona antica. Ma resta una tappa imprescindibile del quartiere di Sultanahmet.


La stessa Sultanahmet ha una parte popolare piena di vita, basta allontanarsi verso sud, verso il mare, dalla splendida piazza Almeydani oltrepassare le mura esterne dell’ippodromo, che ci si ritrova tra palazzi popolari, privi di storia ma carichi di umanità.





Un piccolo mercato di frutta e verdura ne è un bellissimo preludio e da qui può iniziare la scoperta dell’ “altra” Istanbul.
Gli abitanti di questi quartieri guardano con poco interesse a chi fuoriesce dai circuiti turistici usuali, e spesso le etnie che si incontrano sono testimoni di una mescolanza nella quale si viene tranquillamente accolti.




Merita una passeggiata anche la zona racchiusa nelle mura marittime, conosciuta come il "quartiere dei baffi bianchi". Splendide case ottomane in legno sono diventate ormai hotel.







Per chi non fosse interessato ad uscire dai "soliti giri", penso che possa valer la pena fare una piccola deviazione per visitare la piccola moschea chiamata "piccola Agia Sofia" (Küçük Aya Sofya Camii). Sotto l'impero bizantino fu la chiesa dei santi Sergio e Bacco, poi convertita in moschea all'inizio del XVI secolo. Un vero gioiello, una Agia Sofia in miniatura!











Il Gran Bazar.

Devo essere sincero, il bazar di Istanbul non mi ha fatto impazzire. Sono arrivato ad un'ora molto tranquilla, subito dopo l'ora di pranzo e fortunatamente mi sono salvato dalla calca di turisti che assaltano questi angusti vicoletti. Per questo ho potuto girare indisturbato tra le bancarelle che, per la maggior parte, sono specializzate in cianfrusaglie.







Più interessante la zona degli orafi dove, imboccando porte invisibili, si giunge nel cuore stesso del bazar. In questo intricato formicaio decine di persone lavorano in piccoli e bui laboratori, mani sapienti modellano gioielli che poi faranno bella mostra nelle vetrine. 
A questo universo si affianca una miriade di piccoli negozi ricavati in spazi angusti: bar, barbieri, calzolai....


A pochi passi di distanza si trova il bazar egiziano (ma di egiziano ha solo il nome), sulle sponde del corno d'oro.
La particolarità di questo bazar sta nelle polveri colorate che affollano quasi tutti i banconi e dall'odore dolciastro di pasticceria che il resto delle bancarelle emanano.


Camminando su Divanyolu caddesi da piazza At Meydani si risale la “spina dorsale” di Sultanahmet, tra palazzi occupati da negozi di ogni tipo, le immancabili pasticcerie e venditori di cianfrusaglie si trovano moschee e tombe di sultani. La moschea Firuz Aga sulla sinistra, l’imponente tomba di Hamid II sulla destra, con la moschea di Koprulu Mehmet Pasa e la tomba di del sultano Mahmud subito difronte. Continuando sulla Divanyolu si arriva alla colonna di Costantino per poi continuare con tombe e moschee per diverse centinaia di metri.
Un viale che, tra il caos di turisti e negozi affollati, conserva un fascino particolare. La fede, l’islam e il turismo: sovrapposti ma non mescolati.
Tombe e moschee sono il lascito che viene dal passato più importante (in termini di tempo e di distanza da noi, poiché l’impero ottomano ha dominato fino al XX secolo) di questa città. Se ne trovano disseminate ovunque in tutta la città; soprattutto le moschee, che con i richiami puntuali dei muezin, riportano il feeling instaurato grazie alla fatica della scoperta ad un livello più distante. Qui siamo noi, ma soprattutto ci sono loro: gli stambulioti.

Fatih: 

Attorno alla moschea di Fatih, la più grande di Istanbul, si aprono quartieri popolari dove di turisti ne arrivano pochi, giusto i più curiosi. Qui il fervore religioso è tanto e molte guide consigliano comportamenti rispettosi (soprattutto in fatto di abbigliamento). Per quanto riguarda la moschea, questa impressiona soprattutto per le dimensioni, e nel complesso trovano posto mausolei e scuole coraniche.

La Fatih Camii è posta su in alto, sulla collina che domina il Bosforo ed il Corno d’oro; risalendo la collina non bisognerebbe tralasciare una pausa su Itfaiye Caddesi. La via è un susseguirsi di negozi e bar, con uomini tranquillamente seduti a parlare e sorseggiare tè o caffè e donne, spesso in chador, che stringono i loro figli per mano e si muovono tra le varie mercanzie per fare acquisti. Qui dimorano i curdi ed il quartiere, al pari di altri, è pieno di vita.





Balat e Fener

Dopo aver visitato Sultanahmet ed essere arrivati al ponte di Galata, molti turisti risalgono la costa opposta per raggiungere il quartiere “moderno” di Beyoglu: la torre di Galata, Istiklal caddesi (il “salotto buono” di Istanbul) su fino a piazza Taksim, tristemente famosa per essere il teatro di scontri tra popolo ed istituzioni.
Se invece dal ponte di Galata si continua sulla terraferma costeggiando il mare, ci si ritrova a camminare su colline scoscese, strade tortuose che spesso nascondono perle, seppur grezze.










Santa Maria dei Mongoli
I quartieri che si affacciano sulla riva sud del corno d'oro sono i vecchi quartieri dove un tempo abitavano le minoranze ROM, greche e ebraiche. I nomi sono rimasti gli stessi, ma le minoranze che li abitano sono cambiate completamente. Ora a Fener, Balat e Ayvansaray hanno lasciato il posto a minoranze curde e anatoliche.

Andando alla scoperta del quartiere di Fener si incontra chiesa di Santa Maria dei Mongoli, in una posizione elevata sulla collina, subito fuori le mura del collegio americano. Si tratta dell'unica chiesa costruita sotto l'impero di Bisanzio, che rimase sempre una chiesa e non fu mai convertita in moschea.

Il motivo principale per cui, in una giornata di pioggia, si arriva fino in cima alla collina di Balat non può essere che il museo di San Salvatore in Chora. I mosaici ritrovati sotto uno spesso strato di calce si sono conservati fino ai nostri giorni e lo spettacolo che ci regalano, da oltre mille anni di storia, è un vero e proprio spaccato della cultura bizantina. Non a caso quest'antica chiesa, ovviamente convertita in moschea sotto l'impero ottomano, è definita la cappella Sistina di Istanbul.



Beyoglu



Beyoglu è il “salotto buono” di Istanbul, almeno se si considera la zona che va dalla torre di Galata, l’università di Galatasaray e tutta Istiklal caddesi, fino a piazza Taksim. Siamo nel quartiere un tempo chiamato Pera, nome affibbiato dai genovesi e che ha a lungo conservato.
Negozi alla moda, gallerie, ristoranti, palazzi lussuosi e l’immancabile orda di turisti che camminano indaffarati tra compere, selfie e voraci degustazioni dei tipici dolci di tradizione ottomana.
Di ben altra pasta sono fatte le zone marginali. Decadente, ma molto popolare (basta guardare i negozi che la animano) è la zona subito a ridosso dell’imbarco dei traghetti di Karakoy, sotto il ponte di Galata, sponda nord del corno d’oro.
La funicolare che porta fino alla torre di Galata è il mezzo prediletto di chi insegue posti ricordo, ma la città vive anche negli spazi intermedi.
Che poi basta poco per ritrovarsi in Bankalar caddesi e scoprire che il progresso, non il nostro, ma quello del 1800, ha permesso alle banche di trovare qui la loro sede. Palazzi imponenti si sostituiscono a d un ‘edilizia popolare nel breve evolvere di un angolo svoltato.

Stessa zona altro quartiere: Cukurcuma; subito a sud di piazza Taksim. Quello che più colpisce, oltre all’intimità di alcune vie, è la presenza di numerosi negozi di musica: dischi o strumenti. Inoltre non è facile scovare piccoli e bui locali che danno l’impressione di rivolgersi più a giovani che alla popolazione di Istanbul.









Uskudar


di là dall’Europa c’è ancora Istanbul. Uskudar è il quartiere asiatico della città, dove per andare in un continente nuovo bastano pochi spicci e poco tempo.
Sarà che è mattina presto, ma il traghetto è pieno di turchi che si spostano per motivi probabilmente molto diversi da ciò che mi spinge a raggiungere l’altra sponda: due passi su un altro continente, vedere il cimitero islamico più grande del mondo, entrare nell’unica moschea esistente al mondo progettata da una donna e scovare qualche differenza tra due continenti distanti appena 15 minuti di traghetto.
Il risultato?

Il cimitero è immenso, sconfinato, tranquillo… una quiete emozionante.



La moschea Sakirin va vista assolutamente. Non so se sia il tocco di una donna ad aver scardinato un punto fisso della religione, il concetto turco di un islam moderno o semplicemente le scelte che un architetto ha fatto per rappresentare, nel nuovo secolo, l’islam sulla terra.
Forme arrotondate, colori tenui, giochi di luce e immagini riflesse. Un luogo di culto simile ma distante da tutti gli altri che ho visitato. La fontana che riflette il cielo disegna in terra l’ispirazione di tutte le religioni.
Ed infine le differenze che avrei voluto scovare, ma che sapevo in anticipo che non avrei trovato.




Questa è Istanbul, un incrocio di razze che, bruciando in più occasioni, è sempre rinata dalle sue ceneri, più forte e viva che mai.

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