Istanbul, un po' fuori dal centro....
Balat e Fener
Dopo aver visitato Sultanahmet ed essere arrivati al ponte di Galata, la via più battuta è risalire la costa opposta per raggiungere il quartiere “moderno” di Beyoglu: la torre di Galata, Istiklal caddesi (il “salotto buono” di Istanbul) su fino a piazza Taksim, tristemente famosa per essere il teatro di scontri tra popolo ed istituzioni.
Se invece dal ponte di Galata si continua sulla terraferma costeggiando il mare, ci si ritrova a camminare su colline scoscese, strade tortuose che spesso nascondono perle, seppur grezze.
Santa Maria dei Mongoli |
Il motivo principale per cui, in una giornata di pioggia, si arriva fino in cima alla collina di Balat non può essere che il museo di San Salvatore in Chora. I mosaici ritrovati sotto uno spesso strato di calce si sono conservati fino ai nostri giorni e lo spettacolo che ci regalano, da oltre mille anni di storia, è un vero e proprio spaccato della cultura bizantina. Non a caso quest'antica chiesa, ovviamente convertita in moschea sotto l'impero ottomano, è definita la cappella Sistina di Istanbul.
Beyoglu
Beyoglu è il “salotto buono” di Istanbul, almeno se si considera la zona che va dalla torre di Galata, l’università di Galatasaray e tutta Istiklal caddesi, fino a piazza Taksim. Siamo nel quartiere un tempo chiamato Pera, nome affibbiato dai genovesi e che ha a lungo conservato.
Negozi alla moda, gallerie, ristoranti, palazzi lussuosi e l’immancabile orda di turisti che camminano indaffarati tra compere, selfie e voraci degustazioni dei tipici dolci di tradizione ottomana.
Di ben altra pasta sono fatte le zone marginali. Decadente, ma molto popolare (basta guardare i negozi che la animano) è la zona subito a ridosso dell’imbarco dei traghetti di Karakoy, sotto il ponte di Galata, sponda nord del corno d’oro.
La funicolare che porta fino alla torre di Galata è il mezzo prediletto di chi insegue posti ricordo, ma la città vive anche negli spazi intermedi.
Che poi basta poco per ritrovarsi in Bankalar caddesi e scoprire che il progresso, non il nostro, ma quello del 1800, ha permesso alle banche di trovare qui la loro sede. Palazzi imponenti si sostituiscono a d un ‘edilizia popolare nel breve evolvere di un angolo svoltato.
Il risultato?
Il cimitero è immenso, sconfinato, tranquillo… una quiete emozionante.
La moschea Sakirin va vista assolutamente. Non so se sia il tocco di una donna ad aver scardinato un punto fisso della religione, il concetto turco di un islam moderno o semplicemente le scelte che un architetto ha fatto per rappresentare, nel nuovo secolo, l’islam sulla terra.
Forme arrotondate, colori tenui, giochi di luce e immagini riflesse. Un luogo di culto simile ma distante da tutti gli altri che ho visitato. La fontana che riflette il cielo disegna in terra l’ispirazione di tutte le religioni.
Ed infine le differenze che avrei voluto scovare, ma che sapevo in anticipo che non avrei trovato.
Questa è Istanbul, un incrocio di razze che, bruciando in più occasioni, è sempre rinata dalle sue ceneri, più forte e viva che mai.
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